Come pioppi

Come pioppi

Quella mattina era arrivato il momento di mettere a dimora le piantine di pomodori. Nel loro giardino, piccola oasi tra asfalto e cemento, avevano riservato uno spazio per l’orto, un angolo di bellezza e di vita, un modo per rimanere in contatto con se stessi attraverso la natura, per imparare da essa.

Francesca amava sporcarsi le mani con la terra in quell’esercizio di cura e rispetto che le aveva insegnato fin da bambina suo padre e adesso lei lo trasmetteva a sua figlia Irene, la loro follettina. Un raggio di sole le illuminava i capelli ramati mentre china sulla piantina con le sue manine delicatamente la sistemava nella terra. Si incantò nel guardarla, e non poté sottrarsi dall’impulso di fermare quell’istante di bellezza nella bellezza scattandole una foto che inviò subito al nonno. Vederla crescere di giorno in giorno conservando quella luce che l’aveva accompagnata fin dalla nascita le colmava di gioia il cuore. Frutto del grande amore tra lei e Claudio, riceverla era stato un dono del cielo giunto a portare sorrisi e stupore. A soli cinque anni aveva già imparato molto dalla vita. Forse lei e il nonno stavano seminando bene ma Irene portava come un suo bagaglio di saggezza e profondità. Le era toccato di perdere il padre piccolissima come a lei sua madre. Un destino comune che le aveva unite ancor di più e fortificate all’ombra della quercia di nonno Massimo. Da lui Francesca aveva imparato a vivere con sani sentimenti di amore, rispetto e cura verso se stessi, l’altro, la comunità e l’ambiente che ci accoglie. Ora lei provava a passare il testimone a quel tenero fiorellino, tanto fragile in quel corpicino di bimba quanto forte nella cristallinità della sua limpida anima.

Le era mancata sua madre, da piccola ai primi di maggio quando le sue compagne la festeggiavano, da grande quando si era sposata, e in molte altre occasioni ancora in cui avrebbe voluto averla al suo fianco, ma suo padre si era fatto mammo e babbo. Le aveva riempito le notti al rimboccar delle coperte di racconti della mamma che prendevano forma nei suoi sogni, immagini che avevano popolato di ricordi l’infanzia di Francesca.

Claudio se ne era andato che Irene aveva appena due anni, troppo pochi perché lei potesse ricordarselo. Le raccontava di lui, di come si erano incontrati, di come le preparava le pappine, la portava al parco, giocava con lei e tante altre cose sul suo papà delle stelle. Era stato un astrofisico. Ogni sera staccarla dal cielo stellato per portarla a dormire era un impresa, anche quando era nuvoloso aspettava che ne spuntasse qualcuna e soprattutto quella dal quale il suo papà le dava la buonanotte, perché non poteva essere altrimenti, lui ora era diventato una stella!

A volte Francesca si interrogava sulla strada che avrebbe preso un giorno sua figlia. La sua passione per gli astri era un modo per viversi suo padre e sentirselo accanto. L’amore per la natura glielo aveva trasmesso il nonno come del resto aveva fatto prima ancora con lei: Irene portava il suo stupore di bambina tra sorrisi e salti di gioia allo spuntare di foglioline dal terreno o di fiori che si trasformavano in frutti da raccogliere e mangiare. E poi disegnava già benissimo per la sua età, aveva il talento di Francesca, illustratrice soprattutto di libri per bambini e ragazzi. Francesca aveva unito capacità e immaginazione all’amore per la natura che le aveva trasmesso suo padre: bellezza, ciclicità, armonia erano una continua fonte di ispirazione per i suoi disegni.

Comunque fosse andata Irene avrebbe intrapreso un percorso d’amore, consapevolezza e presenza come la sua piccola comunità le stava insegnando all’interno di quella più grande del loro paese. Nonno Massimo era un’autorità tra la gente per il rispetto che si era guadagnato come uomo, come padre, come professore e adesso anche come nonno. Non era facile vivere lì dove la delinquenza provava ad infiltrarsi ovunque, sotterranea come i veleni nei terreni e nelle falde acquifere, dove valori e sani principi d’amore e rispetto non sono affatto scontati, vanno coltivati, nutriti, difesi, ma quella era la loro terra! Ed è proprio dalla resistenza, dalla spinta verso l’alto ad uscire fuori dalla fanghiglia che nascono i fiori più belli: fiori nel deserto, fiori dall’asfalto e dal cemento, con la loro forza e bellezza dirompente! Irene era il più bel fiore tra quei fiori che fieri spuntavano in quelle terre svilite e deturpate a riscattarle con la loro luce, ad illuminare il buio intorno.

Le piantine erano state sistemate nell’orto. Vestita di violetto, il suo colore preferito, Irene aspettava l’arrivo del nonno che le aveva promesso in quel giorno di festa di portarla finalmente a visitare la sua magica foresta di Pioppi.

– Sei pronta? – le disse al suo arrivo.

– Siiiiiii!!! – gridò entusiasta Irene tra saltelli di gioia con le maniche che svolazzavano come fosse una farfalla, una piccola licenide pensò suo nonno con quei colori tra il violetto e l’azzurro che si confondevano con quelli del cielo.

– Allora andiamoooo!!! – le rispose ancor più eccitato di sua nipote.

Lungo il viaggio nonno Massimo le raccontò la storia della foresta di Pioppi. La conosceva bene, l’aveva appresa ascoltando i discorsi tra lui e la mamma ma era bello sentirsela raccontare di nuovo come fosse una fiaba: i cattivi che avevano sversato di nascosto veleni nel terreno inquinando il suolo, ammalatosi fin quasi a morire, e poi i buoni che con coraggio e lungimiranza avevano piantato i pioppi. I magici pioppi che avevano trasformato il male in bene riportando la vita in quel luogo di morte e degrado. La natura aveva ripreso a crescere rigogliosa e con lei erano ritornati gli animali e infine gli uomini: giornalisti, televisioni, studiosi e studenti delle scolaresche a testimoniare, studiare ed ammirare quel piccolo miracolo.

Ora questo straordinario progetto era incomprensibilmente a rischio. Irene lo aveva sentito ed era forse per questo che il nonno l’aveva porta lì quel giorno.

Scesero dall’auto per incamminarsi lungo un sentiero che li portò fino alla foresta.

Erano fermi lì, gli uni accanto agli altri, con quei fusti sottili grigi e la vegetazione che puntava verso l’azzurro del cielo di quella calda domenica di Aprile. Filtravano la luce dall’alto e dal fondo che per contrasto si infilava tra lo scuro dei tronchi e della vegetazione come raggi dorati. Tutto intorno i suoni della natura mentre loro, i pioppi, silenziosamente continuavano a trasformare, semplicemente vivendo.

In mezzo a loro la bimba si sentì come pervasa da un sentimento immenso di gioia, fatto di unione e appartenenza che non trovava parole, ma suo nonno comprese. Restarono in silenzio per tutto il tempo condividendo quel sentire.

– Mio piccolo fiorellino – le disse prima di andare – ciò che abbiamo fatto qui è stato semplicemente riparare ad un torto che abbiamo fatto a questa terra da esseri umani sciocchi e inconsapevoli. Se saprai vedere ed ascoltare la natura sarà come una saggia maestra, saprà darti sempre utili consigli e orientarti nella vita. Lei ci offre insegnamenti sulla vita e la morte, su armonia e equilibrio, sulla cura e il rispetto, la ciclicità e la capacità di trasformazione, il sentimento di comunità e appartenenza, e su tante altre cose, cose che adesso ti sembrerà difficile comprendere ma un giorno tutto ciò ti sarà più chiaro. Ti ho portato qui oggi affinché tu potessi vedere e sentire questo luogo magico, per non dimenticarlo se dovesse accadere il peggio, sebbene in fondo al mio cuore io nutra la speranza che un giorno tu ne diventi la custode insieme a tua madre e alla nostra comunità. – Gli si inumidirono gli occhi nel dirlo e dovette forzarsi per contenere le lacrime ma la voce tremante lo tradì. Irene si strinse forte a lui come aveva fatto prima con uno dei pioppi – Oh mia piccola folletta! – Si abbracciarono facendosi foresta.

Era arrivato il tempo di tornare, la mamma li aspettava per il pranzo.

Sulla strada del ritorno continuarono a starsene in silenzio per prolungare le sensazioni vissute, tenersele strette, per custodirle come tesori preziosi negli scrigni dell’anima e del cuore. Nonno Massimo manteneva impressa in sé l’immagine di sua nipote tra i pioppi: una gioiosa farfalla violetta tra il verde e la luce del bosco. Irene per tutto il viaggio ripassò ogni sensazione più e più volte perché non scappassero via: il profumo del bosco, i suoni, le luci e i colori, il contatto con la superficie ruvida dei tronchi, il calpestio sul terreno ad ogni suo passo, e infine l’energia che aveva percepito in quel magico luogo, emozioni che non avrebbe più dimenticato per il resto della sua vita.

Quando arrivarono a casa corse incontro a sua madre e abbracciandola forte le disse – mamma saremo e faremo come i pioppi, li salveremo tutti e ci salveremo! –

Questo racconto chiaramente di fantasia è un omaggio ad una storia reale di “impegno amore e bellezza” di cui sono venuta a conoscenza lo scorso agosto grazie ad un’amica che mi ha girato la notizia su whatsapp, ve la riporto così come mi è arrivata:

C’era un’area fortemente avvelenata a San Giuseppiello, Giugliano in Campania, terra dei fuochi. Poi c’era un progetto di bonifica, come tanti altri, tanti milioni di euro, denaro pubblico. Ne sarebbe risultato un lavoro enorme, di asportazione di terra e veleno per portarlo chissà dove, con costi enormi. Bruttura su bruttura, devastazione su devastazione, distruzione su distruzione che avrebbero arricchito solo la camorra. Sappiamo che è così che funziona, la camorra inquina, la camorra si occupa delle bonifiche. Invece è successo che il commissario alle bonifiche e un gruppo di studiosi della facoltà di agraria dell’università di Napoli, coordinato dal prof. Massimo Fagnano, hanno realizzato un progetto differente, improntato all’attenzione e alla cura della terra. E così nei terreni sequestrati ai clan, dov’erano stati sotterrati veleni e rifiuti industriali, è stata attivata un’opera di recupero totalmente affidata alla tecnologia e alla Natura. Un intervento alternativo, pulito, a basso costo: sono stati piantati 20.000 pioppi, le cui radici stanno assorbendo i metalli pesanti in profondità. Il terreno è stato cosparso di compost arricchito con batteri capaci di metabolizzare gli idrocarburi. Il tutto è costato “solo” 900.000 euro rispetto ai molti milioni di euro che prevedeva il progetto iniziale. In questi anni gli alberi sono diventati un bel bosco, sono ritornati gli animali selvatici e gli uccelli, arrivano gli alunni delle scuole, le macchine monitorano la diminuzione dei veleni, un vero miracolo. Eppure l’area non è stata affidata, il commissario da qualche settimana è in pensione e la Regione Campania non ha ancora individuato né il successore né un organismo a cui affidare il bene bonificato. Intanto da qualche mese è già cominciata la devastazione degli uffici e delle apparecchiature.

Un modello virtuoso, efficace ed efficiente, una sperimentazione ecosostenibile, un esempio di legalità che si potrebbe replicare nelle mille terre avvelenate del nostro Paese rischia di essere dimenticato e, fatto gravissimo, di essere distrutto e le persone che vi hanno lavorato lasciate sole ed esposte. Persone che hanno avuto il coraggio di intraprendere percorsi differenti, di non utilizzare denaro pubblico per opere costose e inutili, di occuparsi della nostra terra con cura per recuperare natura e bellezza. Vorrei portare a conoscenza di questa storia i grandi movimenti ambientalisti italiani. Non vorrei apparire troppo esigente se affermo che se ne dovrebbero occupare la Politica, Libera, la Magistratura, le Associazioni, la Cittadinanza Attiva, i Giornalisti sensibili e attenti al tema, e che non si lasciasse solo chi ha provato a costruire un modello di risanamento della nostra terra in maniera seria, attenta e naturale, mettendosi anche contro il grande potere della camorra. Se ci siete datemi una mano a diffondere e a condividere questa bella storia prima che diventi una storia triste.”

Come prima cosa sono andata ad informarmi sul web sulla sua veridicità. Ed ho scoperto che il progetto, nato nel 2015, non solo esiste e finì anche in televisione in un servizio di un noto programma serale, ma che l’appello su riportato risalirebbe al Gennaio 2020. L’ultima notizia che sono riuscita a trovare è del maggio 2021 (vi lascio sul fondo il link, utile per approfondire), le altre successive non fanno che ripeterla. E visto che l’appello del 2020 continua a circolare viene da domandarsi come stiano adesso le cose. In ogni caso al di là di questo mi è sembra una storia più che virtuosa che meritava la condivisione. Leggendola mi ero ripromessa di dare il mio piccolo contributo dedicandole un racconto, perché penso che siamo tutti cellule di un unico organismo, la Terra, e ciascuno dovrebbe rispondere rispetto a ciò per cui è chiamato a fare, piccole grandi azioni, ognuno secondo le proprie capacità e possibilità. Io al momento scrivo e così contribuisco, allo stesso modo mi auguro che altre cellule possano fare altrettante azioni secondo le loro capacità e possibilità. E’ così che tante gocce fanno un mare, è così che ci si prende cura di se stessi e gli uni degli altri, per quel senso di comunità che questa storia ci insegna. Oggi più che mai abbiamo bisogno di storie del genere! Le varie attuali “emergenze” (Covid, guerra Russia-Ucraina, crisi energetica) dovrebbero unirci e non dividerci, perché ogni cosa se presa nella giusta prospettiva può diventare un’occasione per crescere e ritrovarci come parte di un Tutto. E se sappiamo essere umili e attenti osservatori possiamo impararlo ogni giorno dalla Natura che non fa che ricordarcelo costantemente.

https://ateneapoli.it/news/federico-ii/bonifica-dolce-il-miracolo-dei-pioppi-nei-terreni-inquinati/

Immagine: “Bosco presso Oele” di P. Mondrian, olio su tela, 1908

2 Commenti su “Come pioppi”

  1. Semplicità e attenzione all’essenziale, non ci vuole poi molto per fare la differenza… “Il cambiamento parte da me.”

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