Un caro nemico

Un caro nemico

Seduto al tavolo della cucina Amilcare faceva colazione tutte le mattine alle prime luci dell’alba. Come spesso accade alle persone avanti negli anni si alzava presto, e se la preparava da solo, da quando la sua Agnese non c’era più.

Fin dal loro primo giorno di nozze sua moglie, senza mai saltare un giorno, gli aveva portato il caffè a letto, poi con la sua andata in pensione avevano iniziato a condividere la colazione in cucina. Ora con il posto di lei rimasto vuoto, lui proseguiva in questo rito, mentre rivolto verso la finestra guardava il sorgere del sole illuminare poco per volta la campagna fuori. Mandava giù il caffè e il pane raffermo ammorbidito nel latte, una colazione semplice che non aveva conosciuto tramonto nemmeno con l’arrivo delle merendine, quelle diavolerie, come le chiamava lui, troppo dolci e con tutti quegli aromi che nascondevano il sapore delle cose, insomma non capivi che cosa ti stessi mangiando!

Amilcare era un uomo semplice, abitudinario e testardo. La sua colazione lo rappresentava. Era poco costosa, la parsimonia era una delle “qualità” del suo carattere, e aveva la semplicità e il buon profumo delle cose di una volta, della colazione che gli preparava mamma Adelina. Quando affondava le labbra nel pane zuppo grondante latte era ogni volta un tuffo nel passato, un’immersione tra il profumo di sua madre, l’odore di fumo delle pareti della loro cucina e il suono dei campanacci delle mucche che a quell’ora si recavano al pascolo. Peccato che quest’ultimo venisse disturbato nel presente dal rosicchiare di quel maledetto tarlo che rimbombava nel silenzio della sua cucina, richiamandolo forzatamente alla realtà e disturbando così il suo rito mattutino.

Amilcare era sempre stato un uomo taciturno, rimanendo solo questa sua attitudine si era esacerbata. I figli quando lo andavano a trovare avevano non poche difficoltà a interloquire con lui, bisognava cavargli le parole di bocca e il più delle volte rispondeva con il solito “sto bene, nulla di nuovo sotto il mio cielo” e alle loro insistenze aggiungeva nervoso “che preferireste vi raccontassi di disgrazie e malanni!?” E così parlavano loro e lui ascoltava, senza alcun commento ovviamente! In fondo era un uomo buono d’animo che però non credeva nelle parole, più nella sostanza delle cose, comunicava con il fare, anche se pure lì non è che si fosse speso in carezze verso i suoi figli! Rispettando il vecchio ruolo del padre capofamiglia non aveva fatto loro mancare nulla. Ciascuno poi aveva intrapreso la sua strada con giusta soddisfazione, almeno così credeva lui, ma come avrebbe potuto pensarla diversamente se mai glielo aveva chiesto?

Era un burbero di carattere che dietro al suo ruolo si era adagiato chiudendosi al mondo. Non vedeva nessuno ad eccezione dei suoi figli. Seguiva i suoi ritmi impegnando le giornate con la solita routine: il rito della colazione all’alba, la cura degli animali e dell’orto al mattino, la passeggiata per campi e boschi prima di pranzo, la siesta pomeridiana, qualche lavoretto nel pomeriggio, le cure igieniche prima di cena e dritto a letto al comparir delle stelle in cielo.

Lontano dalle chiacchiere del mondo viveva dei suoni della natura e nel silenzio della sua casa, a parte quel tarlo che non poteva proprio soffrire. Si imponeva cocciuto nel rosicchiare la sua sedia, nella sua casa, osando rompere il suo silenzio. Lo sentiva costantemente, prova della sua vorace esistenza ne erano i numerosi fori delle gallerie che costruiva e la segatura che si depositava a terra. Che fosse uno solo o una colonia non faceva alcuna differenza, era il nemico da combattere e sconfiggere, per cui se la figurava così la sua battaglia: o lui o la bestiaccia! Divenne un motivo in più per alzarsi la mattina e una missione che finì per impegnargli l’intera giornata.

Era un uomo difficile da scoraggiare e dalle mille risorse. Si procurò ciò che poteva servire a soffocare l’animale caparbio e iniziò a provarle tutte, senza successo. Si svegliava con la speranza di non sentirlo più, ma ogni giorno l’ospite indesiderato era ancora lì a disturbare il suo buongiorno. Divenne il suo unico pensiero, perse di vista se stesso e i suoi ritmi, abbrutendosi dietro questa irriducibile battaglia contro il nemico giurato. Gli animali ne venivano trascurati, iniziò a dimagrire perché a stento mangiava e il suo odore si fece pungente tanto da impedire perfino l’avvicinarsi dei figli che si preoccuparono non poco di si fatta trasformazione.

Una mattina si alzò e deciso a giocarsi tutte le sue carte, sedia in spalla scese in paese per chiedere l’aiuto dell’esperto. Il falegname, tenendosi a distanza da quell’uomo che ormai sembrava più un barbone che il vecchio Amilcare, gli promise che avrebbe fatto di tutto per riuscirvi.

Tornato a casa già poté apprezzare il piacere di quel desiderato silenzio. La settimana però gli sembrò interminabile. Dietro l’ansia per l’attesa del risultato sperato iniziò a insinuarsi un sospetto, che vi si nascondesse il desiderio opposto, l’insuccesso del falegname. Se lo spiegò con un moto d’orgoglio per non esser riuscito a sconfiggere il nemico con le sue stesse mani ed essersi visto costretto a ricorre a qualcun altro.

In realtà quel silenzio sperato aveva iniziato ad infastidirlo e quella presenza inquietate si era trasformata da nemica ad amica. Oltre a riempirgli le giornate, era diventato un nuovo suono della casa, non più estraneo ma parte integrante di essa. Ed ora che non c’era più era come aver perso un altro caro inquilino, dopo la migrazione dei suoi figli e la dipartita di Agnese.

Ma le cose non andarono come la sua anima adesso chiedeva ascoltando finalmente il suo cuore.

Il nemico era sconfitto!” Sentenziò Giuseppe e ad Amilcare non restò che far ritorno a casa con la sua silenziosa sedia sulle spalle.

I giorni che seguirono lo videro ancor più abbrutito. Si sentiva privato di uno scopo e quel silenzio lo attraversava come un paletto conficcato alla bocca dello stomaco. Pensò alla gastrite per darsi una ragione. Non voleva ammetterlo a se stesso ma ogni mattina il risveglio era accompagnato dalla sottile speranza di risentire il rosicchiamento, speranza puntualmente delusa dall’eco del silenzio.

Una notte alzandosi per urinare mezzo intontito credette di sognare nell’udire di nuovo quel suono, flebile nel silenzio dell’oscurità. Di colpo sveglio, guadagnò rapidamente la cucina, ma arrivato lì nell’accendere di riflesso la luce non udì nulla. Poi spense l’interruttore, voltò le spalle ed ecco che lo sentì di nuovo. Rimase fermo dandosi il tempo di esserne certo, e lo risentì, chiaro, stranamente dolce. No, non stava sognando, era lui, era ancora vivo! Fece esplodere la sua gioia senza riserve saltando e gridando come un pazzo, tanto da zittire l’animale nella sedia e far sussultare gli altri nella stalla. Il giubilo di Amilcare raggiunse persino il paese a valle che per fortuna dormiva!

Avvicinandosi alla sedia, rivolgendosi all’amato nemico affinché riprendesse il coraggio e il suo canto, gli sussurrò: “ Amico mio ben tornato! Tra poco albeggerà e faremo colazione insieme come sempre!”

Qualche giorno dopo i figli tornarono a fargli visita preoccupati di quello che poteva aspettarli, tanto che con l’intento di scuoterlo si erano portati dietro il piccolo Nicola. Invece si trovarono davanti un uomo trasformato, perfino loquace ed affettuoso. Nel vedere il bambino Amilcare gli sorrise e nel portarlo in cucina per preparargli pane e marmellata, chiese per la gioia del nipotino se gli andasse di ascoltare una storia di amicizia tra un tarlo che abitava in una sedia e il suo proprietario testone.

Quante situazioni e avvenimenti dolorosi possono trasformarsi in bene se sappiamo metterli a frutto e ricavarne un insegnamento!? Chiaramente questa storia ci parla di quanto un male possa trasformarsi in un bene anche solo cambiando la prospettiva sulle cose, in questo caso un apparente nemico si trasforma in un amico prezioso per Amilcare che apre in lui uno spiraglio di cambiamento e di crescita. Ma parla anche di conflitti, spesso innescati da nemici interiori, quei demoni che ci rendono belligeranti e indisponibili ad arretrare e trovare accordi perché vanno a toccare fili scoperti dentro di noi.

La mancanza di comunicazione tra le parti non fa che accentuarne gli effetti che possono portare a ostilità sottili o dichiaratamente aperte e deflagranti. Capita sia nel microcosmo delle nostre vite quotidiane che su piani planetari come nella guerra a cui stiamo assistendo da mesi tra Ucraina e Russia. Entrambe le parti pretendono di avere ragione, non comunicano tra loro e men che meno compiono un sforzo di comprensione per vedere le cose dalla prospettiva dell’altro.

Nel caso del nostro tarlo, l’animale non ha nemmeno la percezione di essere il nemico di qualcuno. Quello che è semplice istinto di sopravvivenza diventa nella prospettiva di Amilcare voracità e cocciuta insistenza! L’ovvia incomunicabilità tra i due ci fa però riflettere su come spesso pur potendolo fare ci comportiamo con l’eventuale interlocutore allo stesso modo, come se si parlassero lingue diverse.

Il nervo scoperto di Amilcare è senza dubbio l’attaccamento alle proprie abitudini e il radicamento in esse del suo carattere. Amilcare oltre ad essere testardo e abitudinario, è un uomo taciturno e solo, gli basta un piccolo cambiamento a sconvolgere la pace della sua tranquilla e semplice esistenza, tanto da far diventare un’ignara bestiola il nemico giurato a cui dare battaglia.

Fortunatamente l’essere umano è stato generato con un’anima e un cuore pulsante che l’alimenta, ed anche il più ottuso degli uomini alla fine può riuscire, percorrendo le strade più difficili e tortuose, ad arrivare alla comprensione, ancor prima che dell’altro, di se stesso e soprattutto alla sconfitta dei propri demoni. Insieme alla “sconfitta” del presunto nemico anche il demone di Amilcare, non venendone più nutrito, muore e così si apre in lui lo spiraglio di comprensione e trasformazione del male in bene.

Pensiamo ad esempio al celebre conflitto tra i Montecchi e i Capuleti a cui solo il tragico epilogo dell’amore di Romeo e Giulietta pose fine! Spesso occorre lo shock della perdita a farci aprire gli occhi sulle nostre parziali ragioni e l’insensatezza dei nostri futili conflitti. Dovremmo sempre tenerlo a mente ed impegnarci ad arrivare prima noi al confronto, al chiarimento e alla risoluzione prima che arrivi una tragedia ad insegnarcelo.

Immagine “Sulla soglia dell’eternità” di V. Van Gogh